Ritiri spirituali
050902 - Alle Sorgenti della Verità e della Vita
Rev. P. Grigoris Siranian e la Congregazione Mechitarista ha organizzato nella sua struttura veneziana di accoglienza "Casa Sevan", un centro religioso ricettivo adibito a iniziative spirituali e culturali, un fine settimana di riflessioni e preghiere, dal titolo "Alle sorgenti della Verità e della vita". Dal 02 Settembre 2005 fino al 04 Settembre 2005. A detta iniziativa aderirono una quindicina di partecipanti armeni ed italiani, interessati a conoscere e condividere esistenzialmente le ricchezze della spiritualità e cultura armene, e, in modo speciale, quelle dell'Ordine mechitarista.
Rev. P. Grigoris Siranian e la Congregazione Mechitarista ha organizzato nella sua struttura veneziana di accoglienza "Casa Sevan", un centro religioso ricettivo adibito a iniziative spirituali e culturali, un fine settimana di riflessioni e preghiere, dal titolo "Alle sorgenti della Verità e della vita". Dal 02 Settembre 2005 fino al 04 Settembre 2005. A detta iniziativa aderirono una quindicina di partecipanti armeni ed italiani, interessati a conoscere e condividere esistenzialmente le ricchezze della spiritualità e cultura armene, e, in modo speciale, quelle dell'Ordine mechitarista.
Venerdì 02 Settembre 2005
Venerdi pomeriggio, 2 settembre, i partecipanti furono calorosamente accolti nella sala della foresteria dal Rev. P. Grigoris Serenian, nuovo responsabile di detta struttura.
Dopo la presentazione del programma delle giornate del ritiro, ci fu l'altrettanto cordiale incontro e saluto dell'abate Generale dell'Ordine, il Reverendo P. Elia Kilaghbian.
Alle 18:00, P. Vertanes Oulouhodjian, ieromonaco mechitarista e liturgista, tenne la prima relazione intitolata: "L'adorazione eucaristica nella tradizione mechitarista".
Nella sua esposizione, il Padre relatore inizialmente ha puntualizzato che anche la Chiesa armena, alla stregua di quella cattolica, considera la liturgia quale fonte primaria per la teologia e la fede, secondo il classico assioma: lex orandi, lex credendi.
Egli, quindi, e' passato a chiarire come due altri aspetti, strettamente collegati alla questione esaminata, andavano adeguatamente tenuti in considerazione: 1. l'atto di adorazione eucaristica inserito all'interno stesso della liturgia eucaristica armena al momento dell'elevazione delle specie eucaristiche, e
2. l'adorazione della S. Croce, una devozione si' diffusa nella liturgia armena, specie nel giorno di Venerdi Santo.
Successivamente, P. Vertanes metteva in evidenza come la prassi dell'adorazione eucaristica facesse parte integrante della tradizione liturgica della Chiesa armena, affondando le proprie radici addirittura nella Scrittura e manifestando delle reminiscenze bibiliche. Egli, infatti, rifletteva come nella tradizione armena, l'adorazione eucaristica viene fatta proprio alla vigilia delle feste dei "Taghavaraharaz" (dei Tabernacoli), e quindi, in occasione delle festivita' della: Epifania, Pasqua, Pentecoste, Trasfigurazione, Assunzione della Beata Vergine Maria, e l'Esaltazione della Croce.
Nelle summenzionate circostanze, il Santissimo, quindi, il pane e il vino consacrati e contenuti nel calice, viene deposto sull'altare per la durata dell'intera giornata, di modo che i fedeli possano adorarlo, prostrandosi e baciando la terra, recitando delle preghiere, cantando degli inni e contemplando il Logos fattosi carne per noi uomini e per la nostra salvezza.
Quanto alla tradizione della Congregazione mechitarista in merito, durante la sua esistenza tricentenaria, essa ha conservato con devozione detta pratica. In sintesi, l'Ordine mechitarista ha mantenuto il nucleo essenziale dell'adorazione eucaristica vigente nella Chiesa armena, innestandolo pero' a delle modalita' imprestate dalla liturgia cattolica latina; quest'ultimi elementi si riferiscono sia alla modalita' liturgica, quali ad es. la benedizione eucaristica, l'uso dell'ostensorio, ecc., che ad alcune preghiere ed inni.
Sempre in riferimento alla cerimonia in ambito mechitarista, essa viene indicata col nome liturgico comune a quello della Chiesa armena, e cioe' "Srbutiun i Basmoz" (Il Santissimo in Trono).
Tradizionalmente, detta devozione veniva praticata a San Lazzaro, a Venezia, nei giorni dei Tabernacoli, com'era uso nella liturgia armena; nelle festivita' o ricorrenze proprie della Congregazione mechitarista (Nativita' della Vergine Maria; Protezione della Vergine, la terza domenica di ottobre; per tre giorni che precedevano l'inizio del Capitolo Generale elettivo, ecc.), e, le domeniche.
L'Ordine mechitarista, pero', arricchiva detta prassi inserendovi delle preghiere e specialmente degli inni tratti dalla piu' genuina tradizione liturgica e patristica armena: sono particolarmente densi di contenuti teologici e spirituali gli inni del catholicos san Nerse Shnorhali o il Grazioso, del XII secolo.
Al termine di questa presentazione, il relatore rispondeva con competenza alle risposte dei partecipanti.
La prima serata si concludeva con il ripristino della cerimonia dell'adorazione del Santissimo, nella Cappella del Noviziato, in "Casa Sevan".
Dopo circa 14 anni, veniva rivalorizzata e rivitalizzata, cosi', una prassi secolare dell'Ordine con i propri canti melodici, con la partecipazione dell'abate Generale e l'ufficiatura dello stesso relatore, P. Vertanes, assistito da due diaconi.
Sabato 03 Settembre 2005
Il giorno seguente, sabato 3 settembre, s'iniziava con la celebrazione della liturgia eucaristica in rito armeno ufficiato dal Rev. P. Grigoris Serenian.
La ricorrenza del giorno, secondo il calendario liturgico armeno, era quella dei "318 Padri del primo concilio ecumenico di Nicea (325)".
Il celebrante, nella sua omelia, poneva in evidenza la felice coincidenza di questa festa con le tematiche proprie dei giorni del ritiro; egli, infatti, ricordava la tormentata esperienza ecclesiale ed "ecumenica" del fondatore dell'Ordine, Mechitar, il quale, proprio nell'atto di attingere alle fonti della liturgia armena, si accorgeva, con grande rammarico e stupore, del fatto che nell'inno "Ov hrashali nakhahark" (O mirabili protopadri) venivano cantati anche tre versi finali che si conciliavano poco bene con lo spirito evangelico.
Detti versi, infatti, contenevano degli anatematismi contro il concilio di Calcedonia, Papa Leone Magno e il suo Tomus ad Flavianum.
Mechitar, pero', fortemente fiducioso dell'ortodossia della sua Chiesa, non poteva credere che cio' potesse rappresentare il vero credo e posizione della sua Chiesa. Dandosi, quindi, ad una appassionata ed imparziale ricerca della verita', egli, si tuffava nella ricerca di autorevoli ed antichi codici liturgici, per istruirsi circa la vera tradizione testuale.
I risultati non avrebbero tardato a confermare le ricerche e i sospetti del giovane Mechitar, in quanto riusci' a provare che detti versi erano dei brani aggiunti posteriormente, e, per di piu', dovuti a polemiche interecclesiali; comunque, era stato schiarito che essi non potevano rispecchiare la piu' antica e genuina fede e tradizione dei Santi Padri della Chiesa armena, che, convergeva in tutto, almeno nella sostanza, alla fede della Chiesa universale.
Alle 9:00 iniziava la conferenza, costituita da due parti, tenuta dall'abate Generale, il Reverendo P. Elia Kilaghbian.
La prima parte dell'intervento portava il titolo: "La testimonianza cristiana oggi tra preghiera e missione". In essa, l'abate si soffermava sull'importanza della vita di preghiera e dell'ascolto della Parola, nonche' sull'unione con Cristo, quali basi imprescindibili per il nostro vissuto cristiano, la nostra testimonianza di fede, e, infine, della nostra missione nel mondo.
Egli, citando il fulgido esempio di Maria, la quale, grazie alla sua vita di preghiera e di silenzio, si è degnamente preparata, per tutta la sua esistenza, a proferire il suo "Si'" decisivo alla volontà salvifica di Dio, divenendo, cosi', compartecipe dell'opera di redenzione del genere umano.
L'unione con Dio, proseguiva P. Elia, raggiunta mediante l'ascolto della Parola e la preghiera, rendeva fruttuosa anche la comunione con il prossimo. Invero, per poter trasmettere la luce di Cristo agli altri, bisognava prima averla ricevuta, essersi illuminati da essa, e, solo cosi', si poteva "contaggiare" gli altri.
La vita interiore, poi, veniva nutrita e sostenuta tramite i canali privilegiati della grazia: l'eucaristia, la preghiera, la mortificazione, l'abnegazione, l'innamoramento appassionato di Cristo, la disponibilita' al servizio dei fratelli, lo studio, ecc. Solo vivendo secondo questi principi spirituali, si puo' offrire una testimonianza credibile e convincente nella dimensione pubblica e missionaria della nostra esistenza.
Non bisogna mai dimenticare che il cristiano non è destinato a camminare, bensì, a volare! Alzarsi in alto, pero', non con la propria forza, ma con l'aiuto divino che si riceve mediante la preghiera, la sincera e umile consapevolezza della propria nullità, e, soprattutto, del fiducioso abbandono all'azione divina che c'innesta all'albero della Vita, rendendoci capaci di comunicare, a nostra volta, questa medesima Vita salvifica agli altri.
La seconda relazione dell'abate generale s'intitolava: "Presenze mechitariste oggi nel mondo: ricco bagaglio religioso, missionario, culturale, educativo del passato e sfide di fedeltà contemporanee".
Questa tematica affrontava le diverse fisionomie e problematiche attinenti le diverse missioni e centri mechitaristi nel mondo: Italia, Austria, Francia, Ungheria, Stati Uniti d'America, Argentina, Siria, Libano, Turchia e Armenia.
Sinteticamente, venivano trattate le molteplici missioni della Congregazione mechitarista, sia in termini diacronici che sincronici, e cio', per le due ramificazioni principali dell'Ordine, Venezia (1717) e Trieste (1773)\Vienna (1811), presentandone i maggiori indirizzi, corrispondenti al carisma specifico dell'Ordine e alle esigenze storiche del popolo armeno. Cosi', venivano presi in esame i diversi centri ed attivita' pastorali; i nuclei monastici; le strutture educative, scientifico-culturali, ecc.
L'abate, pero', sottolineava nel suo discorso, come le attività della Congregazione mechitarista erano rivolte, in primo luogo, alla elevazione umana e spirituale del popolo armeno, e quindi, anche alla promozione integrale di tutti gli uomini di buona volontà, con uno spirito di apertura, accoglienza e testimonianza della fede in Cristo.
Quanto, invece, alle tipologie dei piu' importanti contributi dell'Ordine, P. Elia ne individuava 4 settori: 1. promozione umana e spirituale; 2. campo della formazione o vocazionale; 3. attività educative, e 4. servizio scientifico-culturale.
Fin dalle origini, l'apostolato mechitarista fu caratterizzato nel campo religioso, educativo, sociale, ecc., da una venatura marcatamente "ecumenica".
Uno dei mezzi piu' appropriati per svolgere detta missione, fu reperito nell'attivita' culturale, e, piu' concretamente, nell'arte tipografica o dell'editoria. La collocazione geografica della Congregazione (Venezia, Vienna), poi, permise e facilito' la creazione di un canale di comunicazione tra l'Oriente e l'Occidente, imprimendo all'Istituto stesso il carattere di un autentico "ponte" tra questi due mondi diversi ma complementari.
Tuttora, il carisma mechitarista viene vissuto e percepito precipuamente attraverso la coltivazione, conservazione e propagazione dei valori spirituali e culturali del popolo armeno, sia di matrice religiosa che umanistica. Ogni centro mechitarista organizza, per sua naturale vocazione, degli incontri culturali, tesi, sia al recupero dell'identità armena che all'incontro tra le diverse culture e civilta'.
L'Abate, concludeva questa sua relazione, riflettendo come la Congregazione mechitarista sia riuscita solo in parte ad adattare le proprie strutture al mutamento dei tempi, e cio', costituiva, quindi, il vero nodo da risolvere nel prossimo futuro, adeguando ed aggiornando le strutture e capacita' dell'Ordine alle esigenze dei nuovi tempi, per poter soddisfare le necessita' sempre maggiori di un mondo contemporaneo in continua e rapida evoluzione.
A tale scopo, continuava l'abate, serviva una piu' attenta ed approfondita considerazione, sia degli strumenti tecnologici e linguistici a nostra disposizione, che una piu' matura preparazione dei candidati mechitaristi, affinché acquisiscano, nel loro cammino vocazionale, gli strumenti tecnici e raggiungano l'equilibrio psicologico-umano necessario, per essere in grado di rispondere in modo adeguato alle aspettative delle diverse realtà locali e alle istanze delle nuove generazioni.
Alle ore 16:00 era prevista la visita alla Chiesa armena di "S. Croce" a Venezia, guidata dallo ieromonaco mechitarista, il Rev. P. Harutiun Bezdikian, Rettore di detta Chiesa.
P. Harutiun introduceva i visitatori nel misterioso e complesso mondo della presenza armena a Venezia che risaliva, per quanto concerneva i suoi aspetti piu' noti e importanti, all'epoca del regno armeno di Cilicia (XII-XIV secc. circa).
Infatti, e' dal secolo XI circa che iniziarono e s'intensificarono i contatti commerciali degli Armeni con le città e repubbliche marinare italiane, in coincidenza anche con l'organizzazione delle Crociate: fu cosi', dunque, che progressivamente, vennero stipulati dei patti ed accordi economici, politici, religiosi, ecc., con Venezia, Genova, ed altre repubbliche ancora.
In questo contesto, vennero, per esempio, concessi dei privilegi speciali ai veneziani, in base ai quali, essi, potevano commerciare, possedere beni, depositi e, perfino costruirsi o avere delle proprie chiese ed ospizi per i loro cittadini, nella Cilicia armena.
In cambio, gli Armeni, poterono godere di un atteggiamento alquanto benevolo e accogliente nelle terre d'Occidente, specie nella penisola italica.
Pero', fu soprattutto dopo la caduta del regno armeno di Cilicia (1375), che, molti Armeni, tra cui commercianti, monaci, ecc., approdarono in Italia, soprattutto a Venezia, per trovare un rifugio sicuro per poter vivere e operare liberamente in base alle loro convinzioni umane e religiose.
Fu cosi', quindi, che comincio' a prender corpo una piccola, pur se dinamica e prospera comunita' o "diaspora" armena, nella laguna veneta.
Come spesso, tra le prime preoccupazioni degli immigrati armeni, viene quella della costruzione di una propria chiesa; allora, anche a Venezia, essi, s'impegnarono ad edificare la loro chiesa, intorno l'anno 1497, dedicandola al Segno cristiano per eccellenza, quindi, alla "Surb Khatch" (Santa Croce), mistero si' caro e adorato dagli Armeni, tanto da essere denominati con orgoglio come "Khatchapasht Joghovurt" (Popolo adoratore della Croce).
Detta Chiesa venne successivamente completamente ristrutturata verso la fine del XVII secolo (nel 1689), insieme agli spazi adiacenti adibiti ad uso di canonica, ospizio per i pellegrini, ecc.: tutto cio', portando il nome di "Calle degli Armeni", denominazione, questa, che tradisce una presenza plurisecolare degli Armeni a Venezia, proprio a ridosso della centralissima piazza di S. Marco e del palazzo ducale, vero cuore del potere civile e spirituale della gloriosa Repubblica Serenissima.
Fino al secolo XVIII, gli Armeni, insieme ai Greci e agli Ebrei, costituivano uno dei nuclei etnico-confessionali piu' importanti della citta' lagunare.
Quanto alla presenza armena a Venezia negli ultimi secoli, essi avevano una consistente rappresentanza di ambo i filoni storici della loro nazione: quello dell'impero ottomano e quello dell'impero persiano.
La maggioranza degli Armeni a Venezia si occupava di commercio, usufruendo delle conoscenze (linguistiche, culturali, geografiche, ecc.) e valido supporto dei loro connazionali sparsi nel mondo, dalle citta' dell'Europa occidentale (Londra, Amsterdam, Lione, Parigi, Genova, ecc.) fino a quelle dell'Asia e perfino delle Indie: ecco, quindi, il significato della "mediazione globale" (a livello economico-finanziario, culturale, religioso, ecc.) del popolo armeno a cavallo tra i secoli XVII-XIX.
Una volta diventati "cittadini veneziani", gli Armeni, dopo aver spesso "italianizzato" i loro nomi, acquistavano anche dei terreni e delle proprietà in Italia. In questo modo, molti di essi, quali ad es. commercianti, banchieri, dragomanni, mediatori o agenti finanziai, fecero di Venezia la loro "seconda patria" o residenza permanente, ricevendo, non di rado, dalle autorita' della Serenissima, dei riconoscimenti e perfino dei titoli nobiliari, per i meritevoli servigi resi alla citta': questo fu il caso dei Seghpossiank (i De Serpos), dei Shehrimanian (i Sceriman), e così via.
La comunità armena di Venezia, sin dall'inizio della sua presenza a Venezia, non solo ebbe la propria Chiesa (Santa Croce degli Armeni), ma anche dei pastori o parroci armeni, nominati dai Catholicoi di S. Etchmiadzin.
Questi chierici, hanno sempre officiato e amministrato i sacramenti seguendo fedelmente il rito, la liturgia e la lingua armena. I loro rapporti, poi, con le autorita' ecclesiastiche locali sono sempre stati buoni, in quanto, la maggioranza dei sacerdoti designati erano di tendenza cattolica, o comunque, non ostili a detta Chiesa.
L'ultimo della serie di questi chierici fu l'erudito alunno armeno di Propaganda Fide, il vardapet Khaciadur, un personaggio meritevole sia in campo spirituale che pastorale e culturale, oltre ad essere intimamente legato al fondatore della Congregazione mechitarista, appunto, l'abate Mechitar.
Infatti, alla morte di Khaciadur vardapet e dietro sua esplicita richiesta e raccomandazione, la direzione della Chiesa armena di S. Croce venne affidata proprio alle cure dell'Ordine mechitarista che la custodisce con grande premura fino ai giorni nostri.
La Chiesa di S. Croce di Venezia, attualmente, e' la Chiesa armena funzionante piu' antica della diaspora armena. In essa, ogni domenica viene celebrata la Liturgia eucaristica secondo il rito armeno con la partecipazione dei pochi armeni residenti nella citta' lagunare e di quelle famiglie veneziane che si sentono particolarmente legate alla memoria della presenza spirituale e culturale di un popolo facente parte integrante del mosaico multietnico della citta' di Venezia.
Detta Chiesa contiene delle opere di famosi pittori veneziani, come per es. il Lazzarini ed altri ancora.
La visita terminava con delle suppliche tratte dal Breviario armeno e dedicate al potente sostegno che ci offre la S. Croce nell'affrontare le diverse tribolazioni e difficolta' della vita.
Alle 17:30 si visitava la Chiesa di San Moise', a ridosso di Piazza San Marco, un vero capolavoro del barocco, dove, tra l'altro, si riusci' a scoprire la tomba di un benefattore armeno della Chiesa di nome Martiros.
Alle 18:00 cominciava la visita del palazzo Ca' Zenobio, sede storica del Collegio Armeno Moorat-Raphael, vicino alla Chiesa di S. Maria Ai Carmini, a Dorsoduro.
La visita fu guidata da un ex allievo del Collegio, il Sig. Vartan Karapetian, originario di Yerevan (Armenia), il quale, dopo aver adeguatamente spiegato la storia della nobile famiglia dei Zenobio, proprietari del palazzo in questione, intraprese una dettagliata esposizione delle diverse fasi di costruzione e specificita' artistiche dell'immobile.
In primo luogo, egli osservo' come il monumentale edificio barocco traesse la sua denominazione proprio dalla nobile famiglia Zenobio che lo possedette fino alla metà del XIX sec. circa.
Poi, passo' a spiegare che esso fu fatto costruire nel 1690 su un progetto dell'architetto Gaspari, allievo del Longhena.
Quanto alla Sala nobile o la Sala degli Specchi o da ballo, nonche' alle sale adiacenti, la guida chiariva che esse erano decorate dal Dorigny, dal Lazzarini e dal giovane Tiepolo, con l'alternanza di scene mitologiche e storie concernenti la regina d'Oriente, Zenobia. Nel portego risaltavano, invece, tra stucchi biancodorati, tre paesaggi del famoso artista Luca Carlevarijis, anticipatore del vedutismo veneto.
Nella società veneziana, basata sull'autocelebrazione, il giardino rappresentava un significativo elemento che metteva in risalto l'importanza di una famiglia nobile. Fu questo il motivo per cui si diede molta enfasi nel curare il giardino del palazzo Ca' Zenobio.
In fondo al giardino, poi, erge la bellissima costruzione della Loggia del Temanza, adibita ad uso di biblioteca del complesso monumentale.
Nel 1850, dopo il declino della famiglia Zenobio, il palazzo ospito' il Collegio dei Padri Armeni Mechitaristi, divenendo, cosi', la sede stabile del Collegio Moorat-Raphael. Detto Collegio, ha funzionato come liceo tecnico-scientifico parificato fino al 1998, anno in cui, l'attivita' educativo-scolastica venne provvisoriamente sospesa per motivi tecnico-organizzativi.
I padri mechitaristi, grazie alla loro dedizione ed instancabile lavoro, per la durata di circa un secolo e mezzo, hanno forgiato spiritualmente e culturalmente una schiera di giovani armeni provenienti da piu' paesi e continenti, preparandoli adeguatamente alle sfide professionali ed esistenziali della vita, reinserendoli, cosi', profondamente arricchiti, nei diversi contesti sociali, politici e culturali della diaspora e madrepatria armene.
Terminata la visita al Collegio Armeno Moorat-Raphael, alle 19:30, il gruppo si diresse verso Piazzale Roma per gustare una cena tipicamente venziana nella trattoria "Alle Burchielle".
Domenica 04 Settembre 2005
Domenica, l'ultimo giorno del ritiro, si tenne la relazione del Rev. Padre Grigoris Serenian, ieromonaco mechitarista, dal titolo: "La vocazione dell'abate Mechitar di Sebaste".
Il relatore, nella sua esposizione, ha brevemente schizzato i tratti biografici di Mechitar, mettendone in risalto soprattutto i suoi principi ispiratori a livello monastico-religioso, spirituale, culturale, e, in una parola, il nuovo modello umanistico integrale prospettato dal grande riformatore armeno.
In questo modo, egli, tratteggio' la vita di Mechitar (1676-1749), al battesimo "Manuk" (Bambino), soffermandosi sull'importanza del focolare domestico nel processo della sua formazione e maturazione umana e spirituale: una pia famiglia armena di Sebaste, di medio ceto, che, oltre ad affidare il loro prodigioso bambino alle cure iniziali del sacerdote del luogo, ne rimisero il perfezionamento successivo nelle mani di due sorelle vergini consacrate della medesima citta', le quali, avevano trasformato la loro abitazione in un autentico tempio gradito a Dio.
Cresciuto in un simile e sano ambiente spirituale, il giovane Manuk entra, ancora adolescente, nel famoso monastero armeno di Sebaste dedicato a "Surb Nshan" (Santo Segno, quindi, riferentesi alla S. Croce di Cristo), di orientamento antonino (S. Antonio Abate o del Deserto o l'Egiziano). Fu allora che il futuro "fondatore", o meglio, come insistera' lui stesso, il "riformatore" dell'antica disciplina monastica armena, prendera' il nome di "Mechitar" (Consolatore), denominazione si' significativa per il carisma missionario e personale e comunitario dell'Ordine del Servo di Dio.
Mechitar intraprende un lungo e travagliato cammino di ricerca e maturazione sulla strada della verita' che da' vita e libera gli uomini dalle tenebre dell'ignoranza e del peccato; saranno i Padri della Chiesa armena, le fonti autentiche della liturgia, le piu' genuine tradizioni della Chiesa che guideranno i passi di un giovane si' assetato di abbeverarsi alle fonti inesauribili della vera Verita', Via e Vita che e' il Logos fattosi carne per noi uomini e per la nostra salvezza.
La delusione, pero', dell'appassionato ricercatore va di pari passo al suo volenteroso slancio verso le vette dello spirito: l'incomprensione dei confratelli, l'ignoranza e i pregiudizi dei suoi connazionali, ecc., forgiano ancor di piu' il carattere di Mechitar, facendolo confidare unicamente nella provvidenza celeste, e soprattutto, in quella della Madre misericordiosa che gli assicura, nell'Isola di Sevan, in Armenia, la Sua immancabile protezione e benedizione sulla sua opera.
A questo punto, il giovane pioniere, si rende conto che Dio gli aveva preparato un piano speciale da portare avanti: l'elevazione integrale del popolo armeno!
Comincia cosi' la peregrinazione di Mechitar per i monasteri armeni dell'Anatolia orientale, attirando intorno a se' un numero sempre piu' crescente di simpatizzanti. La svolta decisiva, pero', avverra' nella capitale dell'impero ottomano e dell'armenita' dell'epoca, appunto, a Costantinopoli (Istanbul), dove, a partire dal 1700, iniziera' con alcuni suoi compagni ed allievi a condurre una vita in comune, dedicandosi alla predicazione delle verita' evangeliche, della concordia, della carita' cristiana e dell'attivita' culturale e tipografica.
Dopo tanti tentativi messi in atto dal Servo di Dio per rappacificare gli animi tesi dei suoi connazionali, accecati dall'odio e dallo spirito inconciliabile di partito (apostolici \ cattolici), alla fine, egli, riunisce i suoi l'8 settembre 1701, e, dopo aver chiarito lo scopo della loro congregazione, decidono di trasferirsi in terra cristiana, lontana dalle persecuzioni, per poter condurre una vita monastica e culturale a profitto dell'innalzamento del livello spirituale, educativo e culturale del popolo armeno.
Affidati, quindi, alle materne cure e protezione della Vergine Maria, il primo nucleo della Congregazione mechitarista fondata a Costantinopoli, si vede costretta ad emigrare a Modone, in Grecia, provincia allora sotto dominio veneziano.
Qui', appena terminata la costruzione del nuovo complesso monastico in mezzo a mille ristrettezze economiche, scoppio' la guerra tra i Veneziani e i Turchi; quest'ultimi, avendo la meglio sui primi, conquistarono Modone nel 1715, e quindi, Mechitar e i suoi, dovettero nuovamente fuggire, questa volta, pero', in un porto sicuro, qual'era Venezia.
Superando molte difficolta' e leggi proibitive, finalmente, dopo due anni di attesa e speranza, i primi Mechitaristi o i Padri Armeni dell'Ordine di Sant'Antonio Abate, entravano in possesso di una piccola isola della laguna veneziana denominata "San Lazzaro": essi, vi misero piede sull'isola, ancora una volta, il giorno della Nativita' della loro Madre cieleste, Maria, l'8 settembre 1717.
Da quel giorno, quella piccola e insignificante isola, divenne l'Isola degli Armeni, non solo la Casa Madre dell'Ordine mechitarista, ma anche la Casa e la Patria degli Armeni di tutto il mondo; il poeta armeno Hovhannes Shiraz definiva nei seguenti termini la missione dei Padri Mechitaristi e quella dell'Isola di San Lazaro: "Fuori dalla Patria, per la Patria".
Alle 11:00 il gruppo del ritiro spiritale assistette alla Santa Messa in rito armeno, celebrata dall'Abate Generale P. Elia Kilaghbian, al termine della quale essi parteciparono alla gioiosa mensa monastica nel refettorio monumentale dell'Ordine costruita intorno al 1740 dal fondatore Mechitar.
Al termine del pasto, i cari amici e pellegrini si congedarono dai Padri con sentimenti di nostalgia e con il proposito di ritornarvi alla prossima occasione, in quanto grati alla Congregazione mechitarista che aveva offerto una si' preziosa opportunita' di conoscere ed apprezzare da vicino il ricco patrimonio spirituale, culturale ed umano del popolo armeno.
Video e Depliant
L'adorazione eucaristica nella tradizione mechitarista
Venerdì 02 Settembre 2005
Relatore: P. Vertanes Oulouhodjian
Isola di San Lazzaro degli Armeni - Venezia
Relatore: Abate Rev. P. Elia Kilaghbian
Isola di San Lazzaro degli Armeni - Venezia
Celebrazione della liturgia eucaristica
Venerdì 02 Settembre 2005
P. Vertanes Oulouhodjian
Isola di San Lazzaro degli Armeni - Venezia
Relatore: Abate Rev. P. Elia Kilaghbian
Isola di San Lazzaro degli Armeni - Venezia
Caricamento video in corso.
Depliant |